sabato 6 agosto 2016

Erigere un monumento

Mi sono sempre sentito un "bluff", la mia tanto stimata bellezza non è mai esistita, al massimo l'avrò creata io poi.
C'erano momenti in cui con la famiglia andavo a visitare nonni, zii e parenti vari, tutti a decantare quano fossi un bel ragazzo, quanto fossi cresciuto e tutte quelle smancerie la.
Per favore mi regalate il vostro modo di intendere e di vedere la bellezza?
No perché io fino a 14 anni ero in sovrappeso forte, ero il classico ragazzo trasandato e disordinato dai capelli arruffati e dalla faccia paffuta, una faccia a cui si poteva benissimo associare la voglia di mangiare schifezze e porcherie.
Tutti questi complimenti mi irritavano, specialmente perché loro sembravano crederci sul serio a quel mucchio di baggianate, mentre io sapevo molto bene che non era così, che non ero un " bel ragazzo".
Sapevo di essere un qualcosa di lercio, di putrido e ripugnante.
In situazioni come queste posso dire che veramente mi piangeva il cuore, perché a volte io per trovare riscontro nel mio "sapere di essere brutto" passavo dinnanzi ad uno specchio e ne avevo la più cruda delle conferme.

Cosa è successo poi?
Un bel giorno mi faccio coraggio e decido di intraprendere un percorso di "restaurazione" del mio corpo, un percorso che sono consapevole sarà lungo, ma non importa, mi proietto già sulla gioia che di sicuro proverò una volta che avrò conseguito il mio obbiettivo.
Vado davanti allo specchio più grande delle casa che mi permette di osservarmi per intero e mi domando cosa voglio veramente cambiare di me stesso, ottenendo una risposta molto, ma molto lunga.
Non mi spaventa affatto, sono determinato a realizzare un qualcosa che se non è inverosimile poco ci manca, sono pronto a superare i miei limiti per ottenere ciò che voglio, sono pronto a mettermi in gioco e ad affrontare le inevitabili avversità dei miei familiari.
Ho bisogno di vivere e di sentirmi vivo, per farlo devo cambiare tutto quello che mi rende infelice e disperato, si disperato, perché il tutto non si limita a un peso o a delle forme, bensì va oltre toccando tutta la sfera della mia personalità e dei miei rapporti sociali.
Subito mi metto in gioco, si inizia con le diete e subito dopo attività fisica, che non   
è solo palestra ma si estende anche ad allenamenti a casa, a passeggiate ( molto rare) e a qualche partitella di calcio.
Mi allenavo 3 e a volte 4 volte la settimana, allenamenti intensi di 2/3 ore, senza contare che il tragitto per la palestra lo facevo a piedi e la palestra dista un bel pò da casa, 20 minuti di camminata veloce in pratica.
Non era importante se io fossi stato distrutto o meno, stavo modellando e rendendo armonico il mio corpo, iniziava a piacermi quello che stavo diventando, sotto ogni aspetto e più passavano i giorni più mi sentivo meglio.
Naturalmente col sentirmi più sicuro sotto l'aspetto della forma fisica iniziai anche a diventare sempre meno trasandato, ad aggiustare quei capelli arruffati e a prendermi cura di me stesso come mai avevo fatto prima.
Cavolo, stavo realizzando ciò che ho sempre voluto: un corpo che mi stava bene!
Fila tutto così bene, perfetto, fino al raggiungimento del mio celebre obbiettivo, ce l'avevo fatta, incredibile ma vero.
Tale soddisfazione dura poco(grazie edonismo!).
Ero diventato avido di obbiettivi per quanto riguarda il mio corpo, ero, sono, sempre alla ricerca di un ulteriore miglioramento, perché vedevo sempre quel qualcosa da poter migliorare e da poter rendere sempre più perfetto.
Oggettivamente forse, dopo il grande cambiamento avrei potuto ricevere quei complimenti con cognizione di causa, senza dovermi sentire come preso in giro da un affetto incondizionato, avrei potuto credere a quelle lusinghe e avere la prova che fossero vere confrontandomi con lo specchio.
Controllare la mia immagine, la cosa più importante, era ed è un'ossessione, perché io vado a ricercare me stesso: "Eccomi nello specchio, ci sono, il corpo che mi sono costruito c'è e quello che si dice di me è proprio vero, io, così come voglio essere, esisto!"
La cosa si è talmente evoluta che sarei capace di specchiarmi anche in una pozzanghera, in ogni vetrina che c'è per strada, per poter ricevere di continuo la mia immagine e constatare che esisto così come voglio esistere!
Forse la mia più grande paura è proprio quella di non riuscire ad esistere veramente, in fondo sono sempre stato quello che gli altri si aspettavano e non sono mai riuscito a capire chi ero e cosa volevo, ho sempre trascurato una cosa che per me è sempre stata, continua ad essere e sempre sarà di fondamentale importanza, dando precedenza a cose che erano più importanti per altri di quanto lo fossero per me, portando a termine ogni sorta di obbiettivo legato ai doveri di un classico adolescente come se fossero delle "missioni", quasi non pensavo a quello che stavo facendo come un qualcosa che in futuro mi sarebbe potuto servire, lo facevo per inerzia o perché altrimenti i miei genitori mi avrebbero tartassato di rimproveri e io mi sarei dovuto sentire in colpa.
Quante volte mi sono trovato difronte a difficoltà scolastiche che non riuscivo a superare e per superarle talvolta una via d'uscita la inventavo, non esisteva proprio una condizione che andasse ad implicare un fallimento, io dovevo farcela e basta!
E questo mio "modo di fare" adesso vale anche per tantissime altre cose, alcune delle quali sono enormemente importanti per me, quindi immaginatevi quanto il tutto sia, come dire, impegnativo!
Con questo, quello che voglio dire è che la mia capacità di ottenere risultati in ogni cosa che io faccio non è solo il frutto di doti naturali, ma di una spiccata capacità organizzativa e calcolatrice che ho creato e in seguito sviluppato per non crollare, è frutto di ore e ore di studio meticoloso,  è frutto di strategie, schemi mentali provati e controprovati, piani, programmi.
Studio l'obbiettivo da conseguire in tutti i suoi dettagli, valuto attentamente le possibilità prima e i modi poi di portare a termine il mio intento, vado a considerare ogni possibile variabile che potrebbe esserci e per ognuna di esse preparo un piano per neutralizzarle nel caso dovessero presentarsi. Il problema di un fallimento quindi non si pone, l'autodifesa è attiva alla perfezione e la determinazione è tanta.

"La falange oplitica contro l'immenso nemico".
Così io definisco tutta questa mia organizzazione per continuare ad esistere.

Sono un calcolatore "spietato", non lo do a vedere forse, che calcola e analizza tutto, nulla è escluso da questo mio meccanismo, anche il più banale degli obbiettivi può innescarlo.
Sono sempre sintonizzato ad alti, altissimi livelli, con stress, "agonismo" e adrenalina alle stelle che mi permettono di proiettarmi completamente su quel determinato obbiettivo.
Niente ha più senso, la stanchezza passa decisamente in secondo piano, sono una macchina che non si ferma fino a quando non ho ha ottenuto il suo scopo.
Arrivato il momento della prestazione sono ormai in un'altra realtà, dove tutto ha un peso maggiore, non c'è pietà per nessuno compreso me, quasi gioisco se gli altri falliscono. Sono un androide asettico.
Quando tutto giunge al termine sono perso e disorientato, subisco un'onda d'urto emotiva talmente grande che non so spiegare a parole ciò che mi fa sentire, forse sento tutte le emozioni concentrate in una volta sola. Dopo il vuoto più abissale che possa mai aver sentito.
Come già detto, non la prendo proprio in considerazione l'idea di una disfatta, ma immaginatevi quali sarebbero le reazioni, le conseguenze!

"Dietro le quinte" di tutto questo sistema c'è un'enorme sofferenza, mancanza di autostima e di sicurezza, mancanza di una tranquillità che non so che fine abbia mai potuto fare, mancanza di felicità...
Dietro tutta questa onnipotenza, dietro tutto questo narcisismo e dietro tutta la mia spavalderia non riesco a localizzarmi, non trovo me stesso.
Tutta una grande illusione forse.
Vorrei essere, avere e fare tante, troppe cose che non mi appartengono forse, voglio vivere una vita che non posso permettermi forse, voglio sentirmi qualcosa che non sono forse... Forse dopo forse, una foschia che da troppo aleggia in me.
Dopo tutto, dietro tutto, quindi non riesco a darmi forma, a definirmi e a delinearmi.
Sono solo l'abbozzo della grande immagine che mi aspetto di avere.
Sento solo un vuoto immenso che in ogni modo cerco di colmare.

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