sabato 7 gennaio 2017

Un brutto capitombolo

È da tanto che non scrivo, davvero tanto, diciamo che ho trovato difficoltoso spiegare come le cose si stessero evolvendo, perciò ho messo in "panchina" il blog.

Cos'è successo in quest'arco di tempo ? Mh, tante cose,  tra periodi negativi e positivi sono successe tante cose, cosa più importante è che mi è stato diagnosticato il disturbo borderline della personalità.
Cosa c'entra tale disturbo con un DCA?
Il DCA è un sintomo, la punta dell'iceberg di tutto il problema, ed essendo io borderline il mio DCA è come se fosse sottoposto a un moltiplicatore in funzione dalla mia instabilità emotiva, in funzione di tutto quello che concerne un BPD.
In effetti dopo questa diagnosi qualcosa mi è stato più chiaro, non mi riferisco solo ai miei disordini alimentari, ma mi riferisco alla mia vita sotto ogni sfaccettatura, sin da sempre io ho vissuto in risposta a "comandi", a impulsi, chiamiamoli come ci pare, non del tutto normali.
Io ho vissuto camminando su una linea di confine, che usando un linguaggio più dottoresco si trova tra nevrosi e psicosi, detta in parole meno fredde è un qualcosa che ti pone tra normalità e follia; una caratterizzazione di neutralità in cui la neutralità assume il suo aspetto negativo, ed è qui allora che la si può chiamare instabilità, fulcro di un disturbo della personalità borderline.

Per spiegarla in modo ancora più semplice, per volerla spiegare in modo tale che anche un bambino capisca, che diamine è un soggetto borderline?

È una via di mezzo, una linea che separa due mondi.
È il pomeriggio della vita, che separa il giorno dalla notte.
È una contraddizione, a volte buono a volte cattivo.

Già, non ci descrivono come belle persone, alla fin fine fanno capire che siamo dei cani sciolti che però non sono del tutto sciolti, se lo fossimo non saremmo considerati borderline ma ci verrebbe etichettata qualche psicosi.

La cosa che più mi dà rogna però è quel dannato disturbo alimentare, si, alimentato assiduamente  dall'essere me stesso, come se fosse in simbiosi con la mia parte irrazionale, al contempo però io sia consciamente che incosciamente sono intollerante alla cosa. Sono insofferente!
E sì, questo disturbo alimentare atipico pseudo-bulimico ormai non mi dà nemmeno più piacere nell'atto dell'abbuffata e nell'eventuale atto compensatorio, sto male anche quando consumo il cibo ora, non solo dopo.
Io del cibo ho paura, tanta paura, eppure ho quei momenti in cui sarei capace di mangiare cose scadute, cose dal sapore insipido come pane integrale vecchio di 3 giorni e patate al forno fredde. Ve le immaginate quelle patate? Tutte fredde, pastose, che si bloccano in gola e una volta degludite lasciano il bruciore.
Durante il giorno non sto mangiando più, o almeno quasi nulla, poi di notte beh mi precipito in dispensa e mangio ciò che trovo, anche se non trovo molto ( questa è un'altra storia legata a quelle due figure che DEVO chiamare mamma e papà ). Mi aspetto che mi si venga a dire: " Beh Graziano è ovvio, se non mangi regolare ed equilibrato come puoi non avere attacchi di fame improvvisi". D'accordo, ci sta, e in parte è esatta come constatazione, il punto è che io anche mangiando in modo più o meno bilanciato ho problemi di quel tipo ed è anche peggio poi cadere sotto i colpi di un'abbuffata.
Io non riesco più a capire come funziona il nutrimento, come dovrei rispondere agli stimoli della fame e come gestire il fattore emozioni rispetto al cibo, che vi ricordo è una cosa che non appartiene solo a chi soffre di DCA,  ma per chi ne soffre la questione è decisamente più ramificata e complessa.
È davvero molto contorto tutto ciò, se inanello un'emozione negativa si innesca un meccanismo che mi porta al craving, inizio a percepire l'astinenza più pura e dolorosa di cibo, è quasi come se fossi assuefatto completamente dal cibo.
Non c'è molta scelta, c'è solo lo spasmodico bisogno di abbuffarmi con la consapevolezza di andare incontro all'autodistruzione, ed è così fastidioso, così doloroso...
Mi sento così sporco, così in difetto verso le mie aspettative, così dannatamente scisso in due parti contrastanti eppure che si incastrano, e tutto questo mix micidiale mi porta a un livello di impotenza umiliante. Sono lo straccio della malattia, sono il giocattolo della malattia, lei ( e dico lei, non essa ) mi mette i piedi in testa perché a questo punto della storia non sono più io che comando, non ho più quel controllo che tanto mi manca. Non so più chi o cosa sono in effetti, se mi ci soffermo sul serio non ne arrivo a capo.
È tutto strano, anche più strano di prima quando le cose pur andando male seguivano un senso logico, negativamente particolare, ma logico. Ho sempre parlato di brancolare nel buio, ma ora il buio per me è solo un qualcosa di pallido.

Non sopporto più questa asfissia mentale che mi comprime e mi schiaccia, io non voglio vivere così, in vene ho un'overdose di rabbia mista a irrequietezza e non è affatto piacevole se si è chiusi in una giara avvolta a spirale che ti riavvolge il nastro di continuo.

Mi piacerebbe svanire, sarebbe molto più semplice.

lunedì 12 settembre 2016

Ho nostalgia

La mia vita è un vero tormento, una tribolazione.
Al mattino mi sveglio e faccio fatica ad entrare nella realtà, a vivere come da troppo tempo vivo. Sembra tutto così fuori dalla mia portata, l'unica cosa che faccio è mangiare a casaccio, oltre che piangermi addosso e immaginare una mia vita se le cose andassero per il verso giusto, per il resto non c'è più niente che occupi la mia quotidianità. È come se avessi perso tutto, ciò che mi resta è solo il mio dolore, sempre lì ben saldo quasi a ricordarmi che ormai per me vivere equivale a soffrire, sopportare e rinunciare. Svegliarsi sta diventando sempre più pesante, è devastante avere la consapevolezza che anche il giorno che si prospetta non avrà un fine o uno scopo, e anche se volessi darglielo non ci riuscirei, sono maledettamente annullato dalla schiera dei miei problemi.

Mi manca non avere una vita, mi manca la solita routine fatta di scuola, casa e palestra, con hobby occasionali e hobby "classici", mi manca il sentirmi stimolato ai richiami della vita, non come ora che mi spavento e mi sento come un bambino in punizione ( una di quelle punizioni toste per intenderci ).
Ho nostalgia soprattutto del mio stato psicologico che, seppur sempre affranto e decisamente sotto i colpi del cattivo umore, sommariamente aveva una serenità di fondo, la quale mi permetteva di affrontare la giornata e di fare tutte quelle cose che mi piaceva fare.
Per non parlare della nostalgia che ho per il mio corpo, che iniziava a piacermi e sono sicuro che se avessi proseguito su una certa strada, mi sarebbe piaciuto sempre più.
Anche 3 mesi fa ero sotto i colpi di un disturbo alimentare molto agguerrito, ma riuscivo sempre a dire la mia a suo discapito in qualche modo, riuscivo sempre a spuntarla e a restare in una condizione di equilibrio tra il desiderato e l'effettiva realtà delle cose.  Come già ribadito più e più volte, il disturbo alimentare è probabilmente solo la manifestazione di una grande sofferenza, volendo dire un sintomo che però è grave a tal punto da diventare un problema a se stante. Molto probabilmente fino a 3 mesi fa riuscivo ancora a lenire tutto quel soffrire, a sormontare i miei mostri con la forza di volontà e la voglia di vivere, tutte belle cose eh? Purtroppo si è trattato di autodifese che non hanno retto a lungo perché non vedevo con chiarezza le cose, o meglio avevo paura di farlo.
Fino a poco tempo fa mi sono sempre ostinato a riconoscere che la faccenda non si limitava a un disturbo alimentare, non volevo credere che dietro tutto c'era un'orda sconfinata di tenebre e ombre pronte a tirarmi giù. Un errore enorme questo mio intravedere il nemico solo nel DCA, un errore a cui devo anche parte dei fallimenti dei precedenti percorsi psicologici/psicoterapeutici, in quanto i mezzi adottati erano inadeguati e comunque troppo deboli contro questa cosa che covo dentro. Tutto quello spirito di lotta, di intraprendenza e voglia di fare sono venuti meno come un castello fatto di carte, non poteva essere altrimenti d'altronde. Di quel castello di carte però ne sento la mancanza, era comunque una difesa, uno spiraglio di luce in quel vuoto buio e spaventoso. Riuscivo a vivere ecco il punto.
Poi... poi mi mancano tante altre piccole cose, oltre che la vita in senso lato e filosofico, cose che comunque rientrano nello stesso spazio. Ad esempio mi mancano i vecchi abiti che indossavo prima e che ora non posso indossare più perché un pò stretti; mi manca il mio essere narcisista allo specchio la mattina prima di andare a scuola, oh si, sprecavo più tempo a osservare ogni centimetro della mia faccia che a lavarmela; mi manca arrivare ai pasti e viverli con una certa normalità, come parte integrante ed essenziale della mia vita.
Ah quasi dimenticavo, anche il pesarmi al mattino e vedere l'ago della bilancia segnare un peso che mi andava a genio mi manca, forse una delle cose che mi manca di più. Che posso farci, io nella mia mente sono anoressico, magari non del tutto, ciòe solo orientato verso regimi alimentari ipocalorici, perché sostanzialmente la mia anoressia è durata davvero poco, per giunta ero già magro quando divenni anoressico e quindi non li devo a questa malattia i miei ottimi risultati ottenuti.

Per concludere questo post che secondo me è davvero acerbo e condito da stupidità, ciò che più mi manca e svegliarmi con la certezza di avere una vita appagante e soddisfacente, e non ve ne uscite con le solite cose che lodano "il vivere" incondizionatamente, perché danno solo fastidio, sono frecce che non centrano il bersaglio.

mercoledì 10 agosto 2016

Grido di Eracle

Mi sento intrappolato in un corpo che non mi appartiene, un corpo frutto di eventi infausti e che è alla mercé di una malattia distruttiva.
Il mio corpo è diventato una prigione, da esso dipende la mia vita e non riesco proprio ad immaginare una condizione diversa.
Mi ripeto, quasi per abitudine ormai, che quando riavrò il corpo di prima riprenderò in mano la mia vita, continuando però a rimandare giorno dopo giorno una possibile via di guarigione perché non riesco a spezzare questa "dipendeza" da cibo, così forte e così dolorosa.
Sono stanco di tutto ciò, vorrei poter vivere la vita senza le mie ossessioni alimentari, come tutte quelle persone che non si fanno certi problemi col cibo, che non si fanno un problema se mangiano la pizza due volte a settimana o se assaggiano una fetta di torta tutta impregnata di schifezze varie.
Se fossi io a mangiare una fetta di torta del genere la mia mente malata andrebbe su di giri... quel piccolo assaggio rappresenterebbe un insostenibile fuori programma, uno sgarro inammissibile, pertanto se ciò dovesse accadere tanto vale andare fino in fondo e mangiare il più possibile.
Ed ecco quindi un'altra abbuffata, che a volte, preso dai sensi di colpa più frustranti e dolorosi, tento di annullare con un atto compensatorio come il vomito, ma anche con digiuni o semi-digiuni nei giorni avvenire.
La mia vita è un continuo sali e scendi, un alternarsi tra periodi di diete e periodi di abbuffate, a seconda dei periodi poi io ho un aspetto diverso in tutti i sensi.
Se mangio a modo mio e se ho il controllo della situazione la mia vita può procedere tranquilla, sto bene e magari accetto di avere interazioni sociali con tanto di allegria e contentezza, arrivando anche ad essere felice volendo.
Se mi abbuffo vivo una situazione di totale disordine sotto ogni punto di vista e non ho voglia di fare nulla, vorrei solo sparire da un momento all'altro.
Io sono stanco, non reggo più. Sono decisamente stanco di avere un vincolo che mi impedisce di vivere la vita che voglio, non so fino a che punto posso tirare avanti così.

Guardo tutte le mie vecchie foto narcisistiche, foto che immortalano il mio corpo definito e leggermente scolpito, spesso scattate dopo allenamenti in palestra o svariati esercizi svolti a casa.
Le guardo e mi fa male, perché non sono più come in quelle foto e anche se decidessi di smettere di abbuffarmi a partire da oggi, domani non riavrei quel corpo, quindi rinunciare alle abbuffate mi risulta alquanto difficile.
Guardarle inoltre mi suscita invidia (già invidia verso me stesso) e a volte, non mi vergogno a dirlo, arrivo quasi a versarci una lacrima sopra, specialmente quando sono di pessimo umore e sono totalmente pervaso dall'angoscia, dalla tristezza e dalla malattia.
Non c'è proprio nulla di logico e razionale dietro tutto questo mio comportamento, in quanto continuare a mangiare come un camionista obeso non serve a niente se non a farmi ingrassare ancora di più e questo lo so perfettamente, ma diciamo che nella mia mente la magrezza e il dimagrire è come se mi spettassero a prescindere di diritto, un diritto che però sembra essere esente da tutti quei doveri che andrebbero a legittimarlo; questo perché forse, a mio avviso, sono stato privato di tale diritto ingiustamente.

Darei la vita per poter tornare come prima, è l'unica cosa che voglio sul serio, tutto il resto è superfluo.
Vorrei ricominciare a dimagrire, ma non riesco a trovare la forza per farlo, ad ogni tentativo cado e rialzarmi diventa sempre più difficile.

Ho voglia di comunicare il mio dolore e ho cercato di farlo scrivendo questo post, ma nonostante questo una parte, una grande parte di esso non riesco ancora ad esprimerla.
Io il mio dolore lo conosco e lo percepisco fin troppo bene, ma sento di non poter far nulla, mi sento abbattuto più che mai e straziato da un qualcosa che ti annienta ancora prima che si possa prendere un'iniziativa.

Non so se riuscirò a guarire dal mio disturbo alimentare, questo perché mi ci sento troppo dentro ed è come se fossi io stesso il disturbo alimentare.
Io la so lunga su quello che sto passando, ma non riesco a fare niente per poter uscire da tutta questa spirale.

"Il dolore peggiore che un uomo può soffrire: avere comprensione su molte cose e potere su nessuna".

Questa è una citazione di Erodoto e rende l'idea di come io mi sento.
E' un'impotenza che diventa più forte giorno dopo giorno facendomi sentire senza speranze, un'impotenza che sento ad ogni abbuffata e ad ogni piccolo fuori pasto che potrei evitare.

Voglio sentirmi di nuovo forte e potente, voglio avere di nuovo il controllo.
Ripeto:

voglio dimagrire un'altra volta, ancora una volta!

sabato 6 agosto 2016

Erigere un monumento

Mi sono sempre sentito un "bluff", la mia tanto stimata bellezza non è mai esistita, al massimo l'avrò creata io poi.
C'erano momenti in cui con la famiglia andavo a visitare nonni, zii e parenti vari, tutti a decantare quano fossi un bel ragazzo, quanto fossi cresciuto e tutte quelle smancerie la.
Per favore mi regalate il vostro modo di intendere e di vedere la bellezza?
No perché io fino a 14 anni ero in sovrappeso forte, ero il classico ragazzo trasandato e disordinato dai capelli arruffati e dalla faccia paffuta, una faccia a cui si poteva benissimo associare la voglia di mangiare schifezze e porcherie.
Tutti questi complimenti mi irritavano, specialmente perché loro sembravano crederci sul serio a quel mucchio di baggianate, mentre io sapevo molto bene che non era così, che non ero un " bel ragazzo".
Sapevo di essere un qualcosa di lercio, di putrido e ripugnante.
In situazioni come queste posso dire che veramente mi piangeva il cuore, perché a volte io per trovare riscontro nel mio "sapere di essere brutto" passavo dinnanzi ad uno specchio e ne avevo la più cruda delle conferme.

Cosa è successo poi?
Un bel giorno mi faccio coraggio e decido di intraprendere un percorso di "restaurazione" del mio corpo, un percorso che sono consapevole sarà lungo, ma non importa, mi proietto già sulla gioia che di sicuro proverò una volta che avrò conseguito il mio obbiettivo.
Vado davanti allo specchio più grande delle casa che mi permette di osservarmi per intero e mi domando cosa voglio veramente cambiare di me stesso, ottenendo una risposta molto, ma molto lunga.
Non mi spaventa affatto, sono determinato a realizzare un qualcosa che se non è inverosimile poco ci manca, sono pronto a superare i miei limiti per ottenere ciò che voglio, sono pronto a mettermi in gioco e ad affrontare le inevitabili avversità dei miei familiari.
Ho bisogno di vivere e di sentirmi vivo, per farlo devo cambiare tutto quello che mi rende infelice e disperato, si disperato, perché il tutto non si limita a un peso o a delle forme, bensì va oltre toccando tutta la sfera della mia personalità e dei miei rapporti sociali.
Subito mi metto in gioco, si inizia con le diete e subito dopo attività fisica, che non   
è solo palestra ma si estende anche ad allenamenti a casa, a passeggiate ( molto rare) e a qualche partitella di calcio.
Mi allenavo 3 e a volte 4 volte la settimana, allenamenti intensi di 2/3 ore, senza contare che il tragitto per la palestra lo facevo a piedi e la palestra dista un bel pò da casa, 20 minuti di camminata veloce in pratica.
Non era importante se io fossi stato distrutto o meno, stavo modellando e rendendo armonico il mio corpo, iniziava a piacermi quello che stavo diventando, sotto ogni aspetto e più passavano i giorni più mi sentivo meglio.
Naturalmente col sentirmi più sicuro sotto l'aspetto della forma fisica iniziai anche a diventare sempre meno trasandato, ad aggiustare quei capelli arruffati e a prendermi cura di me stesso come mai avevo fatto prima.
Cavolo, stavo realizzando ciò che ho sempre voluto: un corpo che mi stava bene!
Fila tutto così bene, perfetto, fino al raggiungimento del mio celebre obbiettivo, ce l'avevo fatta, incredibile ma vero.
Tale soddisfazione dura poco(grazie edonismo!).
Ero diventato avido di obbiettivi per quanto riguarda il mio corpo, ero, sono, sempre alla ricerca di un ulteriore miglioramento, perché vedevo sempre quel qualcosa da poter migliorare e da poter rendere sempre più perfetto.
Oggettivamente forse, dopo il grande cambiamento avrei potuto ricevere quei complimenti con cognizione di causa, senza dovermi sentire come preso in giro da un affetto incondizionato, avrei potuto credere a quelle lusinghe e avere la prova che fossero vere confrontandomi con lo specchio.
Controllare la mia immagine, la cosa più importante, era ed è un'ossessione, perché io vado a ricercare me stesso: "Eccomi nello specchio, ci sono, il corpo che mi sono costruito c'è e quello che si dice di me è proprio vero, io, così come voglio essere, esisto!"
La cosa si è talmente evoluta che sarei capace di specchiarmi anche in una pozzanghera, in ogni vetrina che c'è per strada, per poter ricevere di continuo la mia immagine e constatare che esisto così come voglio esistere!
Forse la mia più grande paura è proprio quella di non riuscire ad esistere veramente, in fondo sono sempre stato quello che gli altri si aspettavano e non sono mai riuscito a capire chi ero e cosa volevo, ho sempre trascurato una cosa che per me è sempre stata, continua ad essere e sempre sarà di fondamentale importanza, dando precedenza a cose che erano più importanti per altri di quanto lo fossero per me, portando a termine ogni sorta di obbiettivo legato ai doveri di un classico adolescente come se fossero delle "missioni", quasi non pensavo a quello che stavo facendo come un qualcosa che in futuro mi sarebbe potuto servire, lo facevo per inerzia o perché altrimenti i miei genitori mi avrebbero tartassato di rimproveri e io mi sarei dovuto sentire in colpa.
Quante volte mi sono trovato difronte a difficoltà scolastiche che non riuscivo a superare e per superarle talvolta una via d'uscita la inventavo, non esisteva proprio una condizione che andasse ad implicare un fallimento, io dovevo farcela e basta!
E questo mio "modo di fare" adesso vale anche per tantissime altre cose, alcune delle quali sono enormemente importanti per me, quindi immaginatevi quanto il tutto sia, come dire, impegnativo!
Con questo, quello che voglio dire è che la mia capacità di ottenere risultati in ogni cosa che io faccio non è solo il frutto di doti naturali, ma di una spiccata capacità organizzativa e calcolatrice che ho creato e in seguito sviluppato per non crollare, è frutto di ore e ore di studio meticoloso,  è frutto di strategie, schemi mentali provati e controprovati, piani, programmi.
Studio l'obbiettivo da conseguire in tutti i suoi dettagli, valuto attentamente le possibilità prima e i modi poi di portare a termine il mio intento, vado a considerare ogni possibile variabile che potrebbe esserci e per ognuna di esse preparo un piano per neutralizzarle nel caso dovessero presentarsi. Il problema di un fallimento quindi non si pone, l'autodifesa è attiva alla perfezione e la determinazione è tanta.

"La falange oplitica contro l'immenso nemico".
Così io definisco tutta questa mia organizzazione per continuare ad esistere.

Sono un calcolatore "spietato", non lo do a vedere forse, che calcola e analizza tutto, nulla è escluso da questo mio meccanismo, anche il più banale degli obbiettivi può innescarlo.
Sono sempre sintonizzato ad alti, altissimi livelli, con stress, "agonismo" e adrenalina alle stelle che mi permettono di proiettarmi completamente su quel determinato obbiettivo.
Niente ha più senso, la stanchezza passa decisamente in secondo piano, sono una macchina che non si ferma fino a quando non ho ha ottenuto il suo scopo.
Arrivato il momento della prestazione sono ormai in un'altra realtà, dove tutto ha un peso maggiore, non c'è pietà per nessuno compreso me, quasi gioisco se gli altri falliscono. Sono un androide asettico.
Quando tutto giunge al termine sono perso e disorientato, subisco un'onda d'urto emotiva talmente grande che non so spiegare a parole ciò che mi fa sentire, forse sento tutte le emozioni concentrate in una volta sola. Dopo il vuoto più abissale che possa mai aver sentito.
Come già detto, non la prendo proprio in considerazione l'idea di una disfatta, ma immaginatevi quali sarebbero le reazioni, le conseguenze!

"Dietro le quinte" di tutto questo sistema c'è un'enorme sofferenza, mancanza di autostima e di sicurezza, mancanza di una tranquillità che non so che fine abbia mai potuto fare, mancanza di felicità...
Dietro tutta questa onnipotenza, dietro tutto questo narcisismo e dietro tutta la mia spavalderia non riesco a localizzarmi, non trovo me stesso.
Tutta una grande illusione forse.
Vorrei essere, avere e fare tante, troppe cose che non mi appartengono forse, voglio vivere una vita che non posso permettermi forse, voglio sentirmi qualcosa che non sono forse... Forse dopo forse, una foschia che da troppo aleggia in me.
Dopo tutto, dietro tutto, quindi non riesco a darmi forma, a definirmi e a delinearmi.
Sono solo l'abbozzo della grande immagine che mi aspetto di avere.
Sento solo un vuoto immenso che in ogni modo cerco di colmare.

giovedì 4 agosto 2016

Sangue blu

Ed eccomi qua dopo il post precedente,  dove mi sono del tutto lasciato andare e ho assunto uno spirito pro-ana pazzesco, sembravo un disperato che bramava anoressia come se fosse una cosa indispensabile alla vita.
Ebbene, adesso proverò a fare un post più sobrio rispetto al precedente, trattando situazioni importanti e peripezie, ma anche piccole sfaccettature bizzarre.
Sebbene quel post è stato un post impulsivo, impetuoso e per certi versi stupido, ci sono però diverse cose che condivido ugualmente adesso, dall'incomprensione alla sconclusionatezza...Come se volessi dire tanto ma non riesco a dare forma a questo tanto in parole e discorsi.

Per cominciare voglio affrontare il tema del mio percorso psicologico e della nuova psicologa che mi ha proposto tale percorso.
Dopo un "tragico" tentato suicidio fallito, si va dalla nuova figura psicologica che dovrebbe tirarmi fuori dal vortice in cui sono finito, ed è inutile dire quanto questa figura per i miei familiari assume il ruolo di stregone, negromante e sciamano che ha la cura racchiusa in una pozione.
Pretendono quasi che nel giro di qualche seduta ci sia un miglioramento, trascurando quanto sia difficile approcciarsi, quanto difficile sia stabilire un rapporto e così facendo vanno a mettere in enorme difficoltà il sottoscritto, soprattutto quando pongono domande del tipo: "cosa hai fatto nella seduta?"
"Ma in cosa consiste la terapia?"
Che nervoso, una cosa tremenda.
Prescindendo dal fatto che a me da fastidio qualsiasi domanda legata al mio DCA e a tutto ciò che ne deriva, io credo che queste domande siano fastidiose per chiunque e non solo per me e quelli come me che sono particolari.

Mi trovo, quindi, difronte a una nuova psicologa, la quale garantisce prima ai miei e poi a me la buona riuscita della sua terapia, con l'esito finale (ovviamente) di farmi stare bene e di farmi riprendere la vita in mano come giusto che sia.
Ad essere sincero l'approccio iniziale mi è piaciuto, mi è subito parso di trovarmi davanti una persona competente, o quantomeno professionale, le prime sedute scorrevano con tranquillità e la cosa che mi ha sorpreso molto è stata che non mi ha indicato di compilare un diario alimentare dopo ogni pasto o fuori pasto indesiderato. All'inizio mi sono sentito, come dire, svincolato da un peso, e ad essere sincero l'ho sempre trovato inutile stare a scrivere cosa mangiavo, specialmente dopo un'abbuffata era veramente sgradevole fare questo lavoro, mi ricordava solo quanto avevo sbagliato per l'ennesima volta e mi faceva ripercorrere il dolore passo dopo passo con l'elenco di ciò che avevo divorato.
Poi però qualcosa è incominciata a non piacermi, non mi piaceva quello che diceva, quello che pensava dei DCA, non mi andava giù l'ipotetica causa dei disturbi alimentari. Proprio qui la psicologa ha perso la mia fiducia iniziale, commettendo l'errore più stupido che si poteva commettere: generalizzare.
Generalizzare disturbi come questi è una negligenza che ahimè, purtroppo, ho riscontrato in ogni psicologo, psicoterapeuta o psichiatra che sia, incontrato finora (escluderei solo la prima psicologa, che, capito di non riuscire a fare più niente, prima che essere professionale e dottoressa è stata umana e mi ha detto esplicitamente di cercare altro).
Ma poi... Parlare del contenuto delle sue terapie, delle sue idee sui disturbi alimentari.
Bene, inizio col dire che si tratta di cose tutte al quanto stravaganti.
In pratica, per farla breve, lei diceva che i disturbi alimentari erano frutto di un "programma d'infessimento di massa" , che tutti i DCA ci erano stati inculcati con i contenuti cinematografici, con i contenuti presenti nei videogame e compagna bella, che in sostanza noi è come se fossimo posseduti da un entità negativa e astratta creata in parte da noi e in parte da tutti questi contenuti assimilati col tempo.
Teorie del complotto direi e ne ho avuto la conferma quando inizió a parlare di intelligence, quando cominciò a discriminare l'America come un russo comunista incallito e quando poi, come ciliegina sulla torta, va a parlarmi anche di religione come una delle cause.
Beh, che dire se non che sono rimasto allibito, anche se non glielo davo a vedere, giusto per constatare dove poteva arrivare con queste sue congetture, che poi tutto sommato quello che diceva a mio avviso erano cose sterili, soluzioni che rappresentavano vicoli ciechi... imput aridi e inutili.
Ok, non ho per caso il motivo di far entrare in gioco la mia presunzione adesso? Che poi forse tanto presunzione, in questo caso, non la chiamerei, bensì la chiamerei "lume della ragione".
È in situazioni come queste che mi sento totalmente incompreso, che mi sento di occupare una posizione superiore rispetto ai vari dottori, che mi sento come un nobile in mezzo ai poveri.
Per non parlare dell'aspetto più di difficile della cosa, riuscire a dire ai miei genitori che anche la nuova psicologa non va bene, perché loro, per quanto mi hanno detto che al minimo problema avrei cambiato strada, mi considerenranno come un'esaltato e come un presuntuoso.
Non ci posso far nulla cari mamma e papà, io mi sento superiore a quei dottori tanto stimati, almeno rispetto a quelli incontrati fino a questo memento, sento di saperne molto più di loro sul mio DCA, sento di dovermi sempre abbassare al loro livello per poter comunicare e quantomeno cercare di interagire alle loro terapie.
Io cerco di stare al loro "gioco", per modo di dire, perché spero che trovano una soluzione a tutto quello che ho, mi impegno a non sembrare esterno al loro percorso, mi impegno in tutto e per tutto, ma se poi sono loro ad uscire fuori strada e a farmi sentire una specie di essere superiore dal sangue blu? Io cosa posso farci?
A un certo punto mi stanco, come giusto che sia, e metto fine alla terapia, per il semplice e importantissimo motivo che la trovo, ma sì...che è  inutile!
Lo dico senza titoli o chissà che, lo dico come chi vive certe situazioni e bene o male ne sa abbastanza.
Non ho ancora troncato con questa psicologa, ma lo farò, come forse già detto, appena ne avrò modo.
Non mi va di intraprendere ulteriori guerre psicologiche giocando fuori casa ma allo stesso tempo su un suolo che è niente meno che il mio povero corpo martire.

Adesso isolato il caprio espiatorio resto io, sempre e solo io con la mia presunzione, io con il mio desiderio di me stesso.
Io che mi sento superiore e proprio non riesco a farci nulla.
Mi sento pervaso da una cazzo di nobiltà intellettuale che mi dà ebrezza, mi eccita quasi, eppure mi sento fragile sotto ogni punto di vista, nonostante il mio strato di cinismo e freddezza, uno strato troppo visibile e ingannevole.
Sto impazzendo. Mi sento di implodere, ho tante di quelle cose dentro e nonostante stia stilando trattati, non trovo un qualcosa attraverso cui esprimermi appieno.
Inizio a sentirmi perso, perso in quel vuoto che mi opprime e come difesa io mi abbuffo, quasi lo faccio automaticamente e pure se provo dolore, non riesco a fare proprio nulla per fermarmi.
Vengo sempre più divorato, giorno dopo giorno, dal mio edonismo, dalla mia volontà troppo grande di vivere diversamente da come vivo, dal mio fare di gran intellettuale.
Mi sento onniscente e poliedrico rispetto ad ogni cosa su cui pongo l'occhio, una condizione piacevole e allo stesso tempo illusoria, che mi si ritorce contro.
A volte, a mente libera, riesco ad osservare da fuori tutta la mia situazione e a pensare quanto sia sprecato vivere così, a quanto sia riprovevole subire una cosa come il disturbo alimentare.
Ciò mi suscita rabbia, rabbia che si evolve nelle forme più intense e corrosive quando osservo altre persone, altri ragazzi che sono spensierati, che vivono la loro vita senza uno scheletro nell'armadio più grosso dell'armadio nel mio caso.
Ragazzi che si godono la vita e, seppur lo fanno nella forma più stupida che si possa immaginare, mi suscitano una veemenza tale da tenermi di pessimo umore per un lasso di tempo molto lungo.
Nonostante ciò, nonostante loro vivono e io combatto con il mio mostro, mi sento una spanna sopra, come se il DCA fosse un qualcosa di molto grande che ti tempra come una persona vissuta.
Per non parlare del fatto che io anche senza includere il DCA vivrei sicuramente queste condizioni, di sicuro mi sentirei superiore a determinate persone.
Non posso proprio farci nulla se mi sento come un cazzo di pensatore metafisico e perso nei meandri di una filosofia tutta sua, talmente complessa che a volte nemmeno io riesco ad accedervi.
Non posso farci nulla se mi sento così, magari sarò io quello banale, quello attaccato alle apparenze, che per aprire gli occhi ha bisogno di questi schemi, di questi piani mentali e non riesce a farlo con semplicità così come dovrebbe essere.

Si, ribadisco di sentirmi uno col "sangue blu", ma forse questo in un mondo che non esiste, in un mondo che ho creato io per poter cercare di vivere nella realtà.
Non ne ho idea a dir la verità, la confusione dettata dalla stanchezza è sovrana e non so se con questo post sono riuscito a dire quello che volevo dire, ma d'altronde solo adesso sto iniziando a capire, a comprendere.

mercoledì 3 agosto 2016

Libero sfogo

Vorrei poter spiegare tutti i miei pensieri, tutte quelle cose che attraversano la mia mente, ma non ci riesco.
Mi sento totalmente spossato con il cervello in sovraccarico, come se ci fosse una totale confusione dettata dal troppo, troppo affollamento di parole che dovrei riuscire a concretizzare in discorsi.
Mi sto sforzando di farlo e il banco di prova è proprio questo blog, con ogni post che rappresenta un piccolo frammento dell'intero quadro della situazione che sto vivendo.
Il problema è che mi sento anche totalmente incompreso e a volte, quando non riesco a dare forma al mio dolore attraverso le parole, mi sento incompreso anche da me stesso ed è una brutta senzazione, perché quest'incomprensione può essere motivo di un'abbuffata.
Adesso voglio quantomeno provare a comprendermi io, perché IO, in fondo, sono l'unica persona che per me stesso ci sono e ci sarò sempre e comunque, non può essere altrimenti.
Ci provo, mi impegno, ma c'è un muro così alto e così spesso che non mi fa accedere agli abissi della mia sofferenza e poi fa così male cercare di capire... si innesca un dolore insostenibile e inimmaginabile.
Forse però qualcosa lo intravedo.
Sarà il desiderio,diventato imperativo, di vivere una vita totalmente diversa? Attenzione, qui non si tratta del classico divagare con la mente, non sono le classiche fantasticherie di una persona che un giorno si siede e , un pò triste e amareggiata, immagina l'avverarsi di un sogno nel cassetto, bensì io viaggio con tutto me stesso insieme alla mia immaginazione. È una condizione che vivo forse da sempre (altro che dalle prime fasi pre-adolescenziali) e che si è intensificata quando ho provato a costruire ciò che volevo, successivamente però mi è crollato il mondo addosso.
Quindi potrebbe essere anche questa la chiave di tutto?
Nel post precedente ho parlato di edonismo, e beh... si, io sono assetato di piacere, sotto ogni aspetto e sotto ogni punto di vista, con standard molto elevati che mi hanno portato ad un perfezionismo così eccessivamente eccessivo, che mi hanno portato anche ad essere quello che sono nel lato positivo della cosa.
Cazzo, disturbo alimentare a parte e con esso tutto quello che ne concerne, io mi piaccio, mi piace il mio carattere lunatico, mi piace il mio essere anticonformista, mi piace la mia aria cupa e grigia... Mi piaccio, in fondo mi piaccio davvero!
Eppure mi trovo impantanto in queste sabbie mobili mentali, che sono come un continuo fastidio che in un modo nell'altro sono sempre là, là a condizionare la mia vita.
È inutile dirmi: "cosa aspetti a liberartene?" Perché io ci ho sempre provato, magari dal profondo della mia forza di volontà ci provo anche ora, no !? Ancora ora!
Questo è allora il mio problema? Il richiamo alla vita con standard (miei) fottutamente elevati che non riesco a far combaciare con la realtà...la realtà dei fatti?
E allora cazzo, se è questo, non lo accetto, non lo accetto perché io ho venduto l'anima per ottenere quello che volevo, ottenendo però  ( e me ne sono reso conto solo dopo) anche dolore, dolore assolutamente gratuito e ingiusto.
Bene. Cosa mi dice la mia testa?

Diventa anoressico, riprendi il controllo, ma questa volta non trasformare questo controllo in un qualcosa di ossessivo, in un qualcosa di morbosamente invasivo e frustrante come se stessi portando il segno perennemente.
Fottitine dei tuoi vecchi canoni di ragionamento utilizzati in quest'ambito, andiamo, guardati allo specchio, la tua forma fisica non così sfalsata e con un bel pò di anoressia rivedrai quelle forme al posto giusto, con quella anoressia domi il mostro che ti covi dentro!
Trova la forza di fare ciò che vuoi, nessuno può ostacolarti, solo il tuo mostro, ma... ma tale mostro si alimenta dalle tue debolezze, dalle tue incertezze e dalla tua aria di rassegnazione, quindi bisogna andare contro vento.
Si è folle, ma io non lo sono?
Non è per caso folle una persona che tenta concretamente il suicidio e lo studia meticolosamente da un pó?
Perciò da questo preciso momento farò tutto il contrario di quello che sono tentato di fare, tutto contaminato dalla voglia di abbuffarmi.
Mano a mano spengo le tentazioni, riuscirò di nuovo a dominare sul cibo, sul mio mondo macabro fatto di cibo e sofferenza.
Sono più forte io in fondo.

Questo mi dice la testa e io, stanco di dovermi sentire marcio ai richiami della vita, potrei lasciarmi attraversare da queste magnifiche senzazioni di controllo e potere sul mio corpo.
Basta.
Nel caso sarò felice in un certo senso, perché anche se si tratta di una felicità subdola, sempre felicità è, ora come ora ne ho bisogno come un disperato.
È una scelta è io voglio scegliere la sofferenza che più mi sta simpatica, in attesa di un vento di cambiamento, in attesa di un'utopica guarigione...

Sarà stato un post stupido si, ma volevo buttare giù queste parole, parole che rappresrntano un tappo alla sorgente del fiume in piena che sento dentro.

Morale del post: dovrei provare a diventare anoressico, ancora una volta,
ma già so che questo è solo un abbaglio e molto probabilmente mi ritroverò con un palmo di naso.
Che instabilità insopportabile.

lunedì 1 agosto 2016

Parlando della mia situazione

Anche oggi mi sono abbuffato, così come ieri, l'altro ieri e il giorno prima ancora.
Inutile dire lo sconforto che mi travolge, inutile dire che mi sento un perfetto fallito e un totale disastro.
Oramai è come se avessi metabolizzato queste condizioni di sofferenza e a differenza di prima è raro che esterni il dolore post-abbuffata con attacchi d'ira e comportamenti nevrastenici. Adesso vivo una situazione di totale depressione, la più nera depressione che ci possa essere.
Se fino a solo qualche settimana fa avrei avuto la classica speranza "del domani" di chi soffre di DCA, ora come ora ho accettato appieno di vivere la mia malattia in quanto tale, ho accettato che tutto questo inferno non potrà sparire dall'oggi al domani, ho accettato che le abbuffate sono un sintomo e... Che dire, il dolore c'è sempre dopo l'atto del mangiare esageramente e compulsivamente, è come essere soggiogati da un potere troppo più forte.
Non posso continuare a rimproverarmi di avere una malattia, l'ho fatto per molto tempo e adesso è il momento che la smetta, io che colpa posso averne? Tutte quelle persone che in un certo senso tendono a sminuire l'intero "complesso" di ciò che sto attraversando, che sottovalutano e sottovalutano il problema nonostante abbiano avuto prova di quanto sia grave... Diventano un peso eccessivo in una realtà in cui il tutto è già davvero insostenibile.
Quindi basta, sono sul serio stufo di essere visto, trattato come quello "che la fa troppo grossa", come quello che attraversa solo una burrascosa fase adolescenziale, come quello che si fa troppi problemi e per giunta inutili...basta cazzo, BASTA!
Non ho voglia di fare nulla, perché pressarmi come un salume sottovuoto affinché io mi "distragga"?
Queste distrazioni che non partono dalla mia volontà non mi servono, per nulla, anzi a dirla tutta sono controproducenti; rompono solo gli equilibri che ho creato per gestire in qualche modo l'immenso dolore.
Nessuno o al massimo veramente pochi possono capire il vuoto abissale che covo dentro, nemmeno avrei potuto immaginare si potesse percepire un vuoto così grande da assumere il sapore di pienezza, una desolazione così drastica e morbosamente affamata.
Pertanto, basta dirmi che sono anche io che mi butto giù, che non provo ad uscirne fuori...Ma cosa ne sanno o ne potranno mai sapere delle guerre condotte tra me e il mio DCA, guerre in cui il campo di battaglia è il mio povero corpo. Che ne sanno di quanto io mi ci metta d'impegno, anche solo per fare le cose più banali ormai diventate pesanti!
Il punto è che non sanno un emerito cazzo.
Mi è concesso dopotutto sentirmi solo allora, solo nel vero senso della solitudine negativa che gli inglesi chiamerebbero loneliness, solo con la mia dannata malattia!
Ed è da qui che si innesca quel meccanismo infido... mi abbuffo!
I pensieri che sono lì, sulla sottile soglia di un'abbuffata sono così negativamente pessimistici.
Del tipo vivo una condizione particolare, che forse più di ogni altra cosa incarna il trigger delle abbuffate, ossia: " se adesso io mi abbuffo sicuramente ingrasso, ma se non mi abbuffo non è che dimagrisco" Tale frase l'avevo letta su un altro blog e da subito l'ho sentita anche mia.
Con questa frase salta fuori l'automatismo, del tutto pre-razionale del: "fatto 99 facciamo 100", quindi accettazione dell'idea di abbuffarmi perfettamente avvenuta, non si può tornare indietro.
La sofferenza che crea la mia malattia, il senso di vuoto, lo sconforto, non si riduce a un piccolo languore, ad una semplice voglia di spizzicare qualcosa, no... La mia è una fame anomala, mostruosa, spaventerebbe una persona che dice di mangiare tanto.
Io non voglio una fetta di torta, voglio la torta!
Non voglio solo un pugno di patatine tanto per fare uno spuntino, voglio l'intera busta! Voglio l'intero pacco di biscotti, l'intera vasca di gelato e continuo a mangiare fino a sentirmi disgustosamente sazio, PIENO!
C'è poi un ulteriore condizione che mi ha portato ad abbuffarmi, vissuta quando avevo una forma fisica da me gradita.
Tutto era nella norma  (esami metabolici, BMI ecc che mi davano ragione) e anche se non lo fosse stato fa nulla, lo era per me, ero magro... lo so l'ultimo passaggio dimostra quanto io nella mia mente sia un "anoressico andato in fallimento", nasconderlo non serve proprio a nulla.

Me ne sto sdraiato sul mio letto, momenti in cui non ho qualcosa da fare. Non perché realmente non c'e nulla che possa fare, ma sono disturbato da un desiderio radicato di dovermi abbuffare, eppure da qualche giorno sto seguendo un'alimentazione equilibrata, lo so per certo, me l'ha data il mio nutrizionista di fiducia.
Cazzo, ho il terremoto nella pancia, brontola tutto! Sento già il sapore delle porcherie che andrò a strafogare.
Mi sento in astinenza, mi sento come un vampiro che brama sangue, ah si... Questo è Craving Graziano, questo è un demone alle porte...
Cosa sento? Cosa sto provando?
La mia testa dice: rabbia, tanta rabbia, tristezza, malinconia, angoscia, paura, panico
Il mio corpo è in testacoda, sudo, mi sento fiacco, quasi ho la schiuma alla bocca e accenno a un tremolio.
Devo abbuffarmi, ci starò male lo so, ma è una cosa che piega la mia volontà e mi mette in ginocchio.
Ecco mi sono abbuffato, ora?
Ora vorrei cancellare il mondo, lo spazio e il tempo.
Accenno a un pianto, una lacrima mi scende dall'occhio e nel frattempo covo una rabbia talmente grande che il pugno stretto mi fa male... Devo contenermi.
In questo disordine di emozioni, amplificate a mille, anche l'ingenuità si risveglia e mi fa domandare perché l'ho fatto, perché non ho resistito invece di cedere.
Dolorosa sconfitta subita.

Questa è l'altra condizione, niente male vero?
Farcela, sperare di potercela fare, per poter stare bene, la vedo come un'idea malata, perché...perché significherebbe solo riprendere il "controllo" e ritornare ad una fase di pura anoressia.
Se questo significa stare bene...
E dopo aver razionalizzato cose come tutte quelle scritte in questo post che mi sento perso, condannato a un qualcosa di troppo crudele.
Avete presente il primo film di Star Trek?
La prima scena dove la nave viene affidata al tenente comandante George Kirk, che diventa quindi capitano. George inevitabilmente morirà e prima di morire saluta la moglie e il figlio appena nato.
George avrebbe potuto vivere una vita felice, coi controcazzi,e invece no: condannato a morte.
Gli viene negata la vita che gli spetta.
Ecco, rifacendomi al mio DCA, io mi rispecchio in George.

Non mi aspetto minimamente che la gente capisca, forse nemmeno voglio che capisca, ma quantomeno voglio quel rispetto che spetta alle persone che sopportano e leniscono un dolore così grande, un enorme fardello che pesa e lascia il segno.
Per guarire ci vorrà molto tempo e finalmente posso dire di averne preso coscienza, tempo che mi sento rubato, strappato.
Forse però non guarirò proprio.

Tutto questo mi annienta, mi lascia senza forze e speranze, ogni giorno è una delusione che si aggiunge alle altre.
Ah... Io avrei voglia di vivere, vivere una vita che mi consumi...purtroppo però sento che quello che voglio mi è negato nel modo più assoluto.

Parole di un folle sognatore.